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L'autoritarismo del capo: aspetti sociali

L’autoritarismo del capo: aspetti sociali

Dott.ssa Annamaria Venere Sociologa Sanitaria Amministratore Unico AV Eventi e Formazione Direttore Editoriale Medicalive Magazine Secondo John Maner, autore di un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review, gli stili di leadership che i capi tendono ad adottare sono essenzialmente riconducibili a due modelli: uno si basa sulla dominanza e l’altro sul prestigio. Il primo è insito nella nostra storia evolutiva. Anche i nostri “cugini” scimpanzé possiedono nei loro gruppi dei leader dominanti. I capi che adottano questo stile esercitano la loro influenza mediante l’intimidazione e la coercizione, minacciando punizioni e assegnando premi. Questa tendenza si afferma nelle organizzazioni che presentano una gerarchia piramidale più accentuata (ma anche dov’è favorita); l’emergenza di leader solitamente narcisisti e manipolatori, finiscono per detenere le maggiori quote di potere. I capi autoritari esercitano un più alto controllo sui loro collaboratori ai quali, molto spesso, affidano compiti non adatti alle loro competenze, in modo da impedire che possano eccellere, mettendoli in ombra. Considerano la conoscenza una forma di potere e non condividono le informazioni in loro possesso con gli altri. Altresì la creazione di relazioni forti tra i membri del gruppo è sentita come una potenziale minaccia/ostacolo al proprio potere e pertanto è scoraggiata quasi pubblicamente. Il secondo stile, fondato sul prestigio, è invece tipicamente umano e ha fatto la sua comparsa con le prime piccole comunità. Si evidenzia quando i membri rispettano e ammirano le capacità umane, tecniche e gestionali del capo che viene considerato un esempio di ruolo positivo da imitare. Questo stile è ricorrente in organizzazioni meno gerarchiche: i leader tendono a favorire l’instaurarsi di relazioni con e tra i membri del gruppo, senza necessariamente ricercare un alto profilo per loro stessi. I capi autorevoli, spinti dalla ricerca del prestigio, tendono a formare solide alleanze con i loro collaboratori e sono orientati a promuoverne la crescita e lo sviluppo, mettendoli nelle condizioni di sfruttare le loro capacità per conseguire risultati eccellenti, mediante la condivisione delle informazioni e agevolando la nascita di legami anche all’interno del gruppo di lavoro viagra senza ricetta. Lo stile dominante, pur non essendo stato descritto con toni positivi, è però efficace in tutte quelle circostanze in cui occorre prendere delle rapide decisioni, lasciando in secondo piano l’impatto che tali decisioni possano avere sulle persone: ad esempio situazioni di crisi o di emergenza in cui è importante far convergere il team sulle stesse posizioni e mettere i membri in condizione di muoversi più velocemente e nella stessa direzione. Al contrario, lo stile basato sul prestigio, si rivela molto efficace nel momento in cui bisogna mettere ogni membro del team in condizione di dare il meglio di sé o quando è fondamentale promuovere la crescita e lo sviluppo dei singoli o del gruppo stesso. In situazioni in cui l’obiettivo del gruppo è di carattere generativo o creativo, ad esempio, il capo lascia spazio ai membri del gruppo, occupandosi di favorire i presupposti affinché questo possa realizzarsi, offrendo una guida quando necessario. Molti manager adottano in parte consapevolmente uno dei due stili in maniera rigida: tendono cioè a utilizzare lo stesso stile di leadership in tutte le situazioni. I più abili, pur avendo uno stile prevalente, riescono a modificare il proprio comportamento, passando da uno stile all’altro, adottando quello più adatto a ognuna delle diverse situazioni che il gruppo da loro coordinato può incontrare. Il filosofo e scrittore francese Gustave Thibon ne L’autorité e l’autoritarisme1 ci ricorda che se diciamo che un uomo «ha autorità», questo giudizio è un elogio, ma se diciamo: «è autoritario», esprimiamo piuttosto una critica. Dove sta dunque la differenza tra autorità e autoritarismo? L’autorità di un uomo si misura dalla sua capacità di comando, cioè dalla fiducia che ispira al suo prossimo e che lo inclina a obbedire senza discutere. Nel celebre dramma King Lear, Shakespeare ci mostra il vecchio re spodestato che erra nella foresta. Un gentiluomo, passando per di là, lo incontra e gli dice: «Non vi conosco ma sento qualcosa in voi che induce ad obbedirvi. – E cosa è dunque? Domanda il re. – L’autorità». Sentiamo, davanti a chi possiede autorevolezza, che obbedendo ai suoi ordini non saremo ingannati, né vessati o frustrati, ma che ci realizzeremo, che la nostra personalità si svilupperà attraverso la disciplina imposta. In altri termini, percepiamo che il capo non comanda in nome proprio, ma obbedisce a una legge superiore che è quella del bene comune di cui egli è rappresentante e intermediario. Così il buon padre di famiglia esercita l’autorità nell’interesse dei figli, il buon padrone in quello di tutti i membri dell’impresa e l’uomo politico degno di questo nome in funzione della nazione intera. In quest’ottica il capo è il servitore di tutti. L’uomo autoritario, al contrario, è colui che comanda senza tenere conto delle esigenze del bene comune e per il solo piacere di esercitare la propria potenza. I suoi ordini sono arbitrari, capricciosi e, in questa stessa misura, vessatori per coloro che li ricevono. L’obbedienza a simili ordini degrada l’esecutore in luogo di elevarlo. Ciò genera, a seconda del carattere del subordinato, il servilismo o il ribellismo. Autorità e autorevolezza possono essere viste come gli estremi di un continuum in cui si vanno a collocare diverse realtà organizzative e stili di guida delle persone. Di fatto la società post-industriale ha determinato una progressiva focalizzazione sul principio di autorevolezza soprattutto in una società in cui sono sempre meno apprezzati approcci autoritari e non sufficientemente legittimati dal basso. Team Building, Team Working, lavorare per progetti, approcci agili e nuove tecnologie dell’informazione richiedono di seguire leader che fondino le proprie capacità sull’autorevolezza e sulla competenza tecnica e metodologica. Un esempio che ci fornisce la perfetta testimonianza di chi incarna autorevolezza e autorità allo stesso tempo, è indubbiamente l’allenatore di calcio José Mourinho, un grande trascinatore, talvolta discusso e al contempo inneggiato dai media come un leader carismatico. Dopo aver conquistato successi e trofei in almeno quattro nazioni differenti, lo Special One (come amano definirlo i suoi tifosi), si è reso celebre con le sue conferenze stampa … Leggi tutto L’autoritarismo del capo: aspetti sociali