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Invidia: umana uguaglianza? Dott.ssa Annamaria Venere

Invidia: umana uguaglianza?

Dott.ssa Annamaria Venere Sociologa Sanitaria Amministratore Unico AV Eventi e Formazione Direttore Editoriale MEDICALIVE MAGAZINE Dal latino in-videre, guardare contro, guardare con ostilità, nella nostra lingua il significato del termine vive nel risentimento che si prova per la felicità, il benessere e il successo altrui, sia, ci si consideri ingiustamente esclusi da tali beni, sia che, già possedendoli, se ne pretenda il godimento esclusivo. In una psicologia dell’invidia, chi prova tale sentimento appare come un individuo che vive in un perenne stato d’insoddisfazione, poiché nell’invidiare non c’è ombra di piacere, ma solo pena e sofferenza. L’invidia è uno dei sentimenti più antichi descritti dall’uomo e la vediamo manifestarsi molto presto: Caino, primogenito di Adamo, è un primo esempio. Il nome di Caino (Qayin) deriva da un verbo che significa “acquistare” (qanah) e ha una radice molto vicina a quella che significa “invidiare” (qana). Tra i due verbi emerge anche una stretta connessione spirituale: Caino invidiò Abele, il cui sacrificio era stato gradito da Dio, invidiò, cioè, il favore di Dio che non aveva ottenuto e che voleva acquistare. Dante rappresenta gli invidiosi in Purgatorio, con gli occhi cuciti da fili di ferro allo scopo di punirli per aver gioito delle disgrazie altrui e, infatti, l’invidia si annovera nei sette vizi capitali, in netta contrapposizione alla virtù della carità. L’invidia nasce dalla relazione, dal confronto con l’altro, una dinamica sociale rilevante poiché è proprio mediante l’altro che affermiamo noi stessi. Per questa ragione, prima di poter desiderare qualcosa che non abbiamo, dobbiamo poterla vedere ed è l’altro che fa nascere in noi questo desiderio. In ambito sociologico l’invidia è considerata un aspetto negativo, un vizio che consciamente o inconsciamente, mina la personalità dell’individuo. Questo sentimento fa emergere, di norma, il disprezzo e l’incapacità di vedere le cose e gli altri a prescindere da se stessi: in questo senso si può affermare che l’invidioso è generalmente frustrato, ossessivo, manipolatore, con pochi scrupoli e certamente ipocrita. Tra le caratteristiche tipiche dell’invidioso spicca il disprezzo dell’oggetto invidiato; una celebre e proverbiale rappresentazione di quest’atteggiamento è la favola di Esopo “ La volpe e l’uva”. Sentimento antico che nasce con l’individuo già agli albori della vita sia in scala filogenetica che ontogenetica, s’ instaura fin dalla nascita (alcuni autori affermano che può instaurarsi già nella vita intrauterina) e che durante l’età evolutiva si elabora e raffina ogni volta che si presenta. Già Freud parla del “complesso di evirazione” vissuto dalle bambine nell’infanzia ,che avverte il sentimento di “invidia del pene” quando viene a conoscenza del sesso maschile. In accordo con la teoria Kleiniana (1), l’invidia è molto più primitiva poiché sperimentata fin dalla nascita già nella relazione madre-figlio; Klein la ritiene fondamentale per il successivo sviluppo emotivo-affettivo del bambino. In questa prima infanzia, se l’invidia non é eccessiva ma adeguatamente supportata ed elaborata, può essere superata e ben integrata nell’Io attraverso sentimenti di gratitudine. In sintesi, se le esperienze buone, relative all’affettività/emotività prevalgono su quelle cattive, il senso d’invidia man mano si affievolisce per lasciare spazio al senso di soddisfazione e gratitudine. Si vanno a creare quindi, nel bambino in formazione, quegli “anticorpi psichici” necessari per fronteggiare lo spiacevole senso d’invidia. Alcuni autori distinguono tra invidia buona, dove ritroviamo alcuni meccanismi positivi che portano l’individuo a confrontarsi con un’altra persona o ciò che rappresenta (risultati scolastici, lavorativi, sportivi) al fine di migliorarsi, e invidia cattiva/distruttiva, capace di sviluppare dinamiche che tendono sempre a svalutare l’altro (relativamente alla stima/importanza/affetti, agli oggetti posseduti, agli eventi) o addirittura a volerne distruggere la sua felicità o sperare che accada. Così l’invidia diventa un’emozione che genera solo dolore sia per chi la prova che per chi la subisce site web. Gli studi effettuati, hanno posto in evidenza, attraverso la risonanza magnetica, il risveglio della stessa zona cerebrale in cui si concentra una qualsiasi reazione negativa percepita dal nostro corpo quando si prova invidia. Non si tratta dunque solo di dolore psichico ma anche fisico: questo tumulto emozionale si scatena violentemente in chi si nutre d’invidia. E forse non c’era necessità di svolgere ricerche in questo campo poiché mente e corpo sono indissolubilmente legati. “Da ricerca spagnola, della Universidad Carlos III di Madrid e di quelle di Barcelona, Rovira i Virgili e Saragozza, pubblicata sulla rivista Science Advances, emerge che il tratto della personalità più diffuso è proprio l’invidia. Lo studio sul comportamento umano ha rivelato che il 90% della popolazione può essere classificata in base a quattro tipi di personalità di base: ottimisti, pessimisti, fiduciosi e invidiosi. Proprio questi ultimi sono il maggior numero, il 30% del totale rispetto al 20% di ciascuno degli altri gruppi. Per arrivare a questa conclusione sono state analizzate le risposte di 541 volontari messi di fronte a centinaia di dilemmi sociali, con diverse opzioni che li portavano alla collaborazione o al conflitto con gli altri, sulla base di interessi individuali o collettivi. Lo studio è basato su un esperimento condotto al Bau Festival, un festival di creatività e gioco. Dopo aver raccolto i dati relativi ai partecipanti su un computer gli studiosi hanno sviluppato un particolare algoritmo, che ha dato il responso: gli invidiosi, a cui non interessa raggiungere un risultato ma solo primeggiare sugli altri, erano il maggior numero, il 30%, seguiti dagli ottimisti, convinti di fare sempre la scelta migliore, dai pessimisti, che sembra si trovino sempre a scegliere tra due opzioni negative, e dai fiduciosi, nati per la collaborazione e il gioco di squadra, tutti rispettivamente al 20%. Vi è anche, infine, un 10% di persone che la ricerca non è riuscita a classificare in una delle quattro tipologie principali.” (2) Se l’invidioso, invece di osservare biecamente gli altri, si battesse nel tentativo di conquistare quei doni e di percorrere il cammino di chi è riuscito a ottenerli, smetterebbe di logorarsi. Come spiega Hidehiko Takahashi, del giapponese National Institute of radiological sciences, che ha condotto la ricerca: «La corteccia cingolata anteriore dorsale è legata all’elaborazione del dolore fisico e sociale». L’attivazione in questa regione cerebrale si ha, per esempio, in … Leggi tutto Invidia: umana uguaglianza?