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Epigenetica: il ruolo della psiche nella modulazione del materiale genetico

Epigenetica: il ruolo della psiche nella modulazione del materiale genetico

  Dott. Angelo Pio Taronna Docente e ricercatore in Biochimica, Biologia molecolare, Biotecnologie, Ferrara     Abstract La convinzione secondo la quale i geni sono gli unici e indiscussi protagonisti del destino biologico dell’uomo è stata ampiamente confutata. Numerosi studi, infatti, documentano che lo stile di vita, l’alimentazione e/o addirittura i pensieri e le emozioni – attraverso la regolazione dell’espressione genica – sono in grado di influenzare la biochimica cellulare, condizionando così lo stato di benessere psicofisico. Il DNA (acido deossiribonucleico) è preservato all’interno del nucleo cellulare. Presenta una lunghezza di circa due metri e contiene tutte le informazioni che definiscono le caratteristiche di un individuo. Attraverso il progetto genoma umano, gli scienziati hanno cercato di scoprire e decifrare tutti i geni presenti nell’organismo, al fine di comprendere l’intimo segreto della vita. Tali acquisizioni, però, sono state piuttosto deludenti. Un primo problema riguarda l’identificazione del numero di geni. Data la complessità umana, i ricercatori si aspettavano – in ogni cellula – la presenza di non meno di 100.000 geni, ma i dati ottenuti hanno documentato un quarto del valore ipotizzato: dato sconcertante se si tiene conto che un semplice grano di riso ne contiene 38.000! Inoltre, malgrado la corrispondenza del 99% tra il codice genetico umano e quello degli scimpanzé, non c’è nulla nel nostro DNA che spieghi perché siamo più intelligenti e mostriamo particolari e specifiche abilità. Infine, la quota di materiale genetico utile (codificante) è circa il 2%; tutto il resto viene definito «junk DNA» (DNA spazzatura), ovvero DNA non codificante (Boukaram, 2014; International Human GenomeSequencingConsortium, 2001). Tuttavia, nel corso degli anni, alcuni ricercatori hanno suggerito che la sequenza non codificante (circa 98%) possa svolgere una qualche attività funzionale. Queste acquisizioni sono state largamente contestate da altri gruppi di ricerca. Il dibattito resta tuttora aperto. La risposta a questi interrogativi la si può trovare proprio nell’epigenetica. Tale disciplina studia come l’ambiente e la storia individuale di ciascuno di noi condizionano l’espressione dei geni contenuti nel DNA. Queste acquisizioni hanno smantellato la convinzione secondo la quale sono unicamente i geni a determinare il destino biologico degli individui, lasciando spazio all’idea che spesso ciascuno di noi è capace di influenzare la biochimica cellulare attraverso lo stile di vita, l’alimentazione e/o addirittura i pensieri e le emozioni. In tale contesto un ruolo cruciale viene svolto sia dall’alimentazione che dall’equilibrio psicoemozionale, condizione che gli psicologi clinici identificano come ricchezza interiore espressa per mezzo di disponibilità, interesse, desiderio e piacere nel vivere la vita di relazione. A quest’ultimo aspetto sono stati dedicati diversi studi con risultati piuttosto interessanti. In questa dissertazione verrà affrontato in maniera succinta l’aspetto psico-emozionale, unicamente per supportare l’ipotesi secondo la quale un’alimentazione corretta senza equilibrio psichico non produce alcun beneficio evidente. Ciò spiega, infatti, perché numerose persone trovano vana ogni tipo di alimentazione e in maniera assennata vagano da uno specialista all’altro.   Relazione tra psiche e sistema neuroimmunoendocrino Il sistema immunitario gioca molteplici ruoli: è coinvolto nei processi infiammatori che permettono di riparare i tessuti danneggiati e ha la responsabilità di difenderci contro tutti gli «invasori» (invasori esterni: batteri, virus e funghi; invasori interni: cellule cancerose) che ogni giorno attaccano il nostro organismo. È dimostrato che il sistema immunitario funziona in maniera ottimale in uno stato di serenità. Al contrario, gli stati prolungati di ansia e disagio emotivo (lutto non risolto, depressione, ecc.) compromettono seriamente il sistema immunitario. Tali stati emozionali negativi diminuiscono il numero e la qualità delle cellule protettrici, ivi comprese quelle capaci di difenderci dalle cellule cancerose. La disperazione, l’isolamento sociale, le discordie familiari persistenti sono fattori capaci di indebolire il sistema immunitario. Alcuni ricercatori dell’Università di Tokushima in Giappone hanno studiato gli effetti dello stress psicologico cronico, documentando delle modificazioni nei geni coinvolti nel network immunitario (Kawai et al., 2007; Yehuda et al., 2009); invece, gli studi condotti da Robert Ader, della Rochester University di New York, hanno provato che il cervello è capace di influenzare il sistema immunitario: esiste un’associazione tra lo stato emotivo di un individuo e l’efficacia del suo sistema immunitario nel contrastare le patologie (Ader, 2000). Studi successivi hanno individuato gli specifici pathways di comunicazione tra il sistema immunitario e il sistema nervoso: gli studi del neuroscienziato statunitense David Felten hanno, infatti, dimostrato l’innervazione degli organi linfoidi primari (timo e midollo osseo),secondari (linfonodi e milza) e delle cellule immunitarie da parte delle fibre del Sistema Nervoso Autonomo, rilascianti catecolamine, acetilcolina e neuropeptidi. Quindi, le fibre nervose e le cellule immunitarie formano vere e proprie sinapsi, denominate «giunzioni neuroimmunitarie» (Bottaccioli, 2014). Tali cellule contengono granuli ricchi di istamina, che sono in grado di rilasciare nei tessuti e nel sangue, provocando infiammazione (Bottaccioli, 2005). Una via di comunicazione tra il sistema nervoso e il sistema immunitario è rappresentata dal decimo nervo cranico (nervo pneumogastrico o nervo vago), che da solo comprende la maggior parte delle fibre parasimpatiche. Originatosi dal bulbo, raggiunge tutti gli organi viscerali e permette la comunicazione bidirezionale tra questi e il sistema nervoso centrale, grazie alle fibre afferenti ed efferenti di cui è composto. Il suo ruolo è connesso all’equilibrio del sistema neurovegetativo e quindi alla sua funzione parasimpatica, cioè alla capacità di contrastare l’eccessiva attivazione prodotta dal sistema nervoso simpatico sui vari organi (Bottaccioli, 2014). Recentemente è stata scoperta la sua funzione immunomodulatoria, responsabile del cosiddetto «riflesso infiammatorio», che possiede sia una componente immuno-sensitiva che una componente immunosoppressiva: la prima si riferisce alle fibre vagali afferenti, in grado di rilevare i livelli dicitochineproinfiammatorie prodotte dalle cellule immunitarie e inviarli al nucleo del tratto solitario (Johnston, 2009); la seconda, invece, si riferisce ai neuroni del nucleo del tratto solitario che proiettano informazionial nucleo motorio dorsale delvago,da cui origina la maggior parte delle fibre vagali efferenti pregangliari, responsabili della componente immunosoppressiva. La branca efferente del vago è nota anche come «cholinergicantiinflammatorypathway», poiché utilizza come principale neurotrasmettitore l’acetilcolina. Le cellule immunitarie esprimono infatti, tra i vari recettori, anche quelli per l’acetilcolina e l’esposizione a questo neurotrasmettitore provoca l’inibizione della sintesi di citochine proinfiammatorie (IL-1β,IL-6, IL-8, TNF), ma non di quella … Leggi tutto Epigenetica: il ruolo della psiche nella modulazione del materiale genetico